LA RADIOFREQUENZA: COS’È E COME FUNZIONA

L’ablazione a radiofrequenza ha visto crescere esponenzialmente il proprio impiego negli ultimi anni. Tra le nuove frontiere applicative, vi sono i trattamenti a radiofrequenza ablativi dell’esofago di Barrett.

La peculiarità di questo sistema riguarda la semplicità con la quale l’operatore riesce a intervenire sulle displasie che si formano sulla parete esofagea, nel caso della metaplasia di Barrett, e, più in generale, su tessuti disfunzionali attraverso l’ablazione ottenuta per mezzo di una tensione elettrica che scorre tra due cariche di potenziale opposto, tensione che può andare dai 350 ai 500Hz.

La metaplasia di Barrett è una condizione che comporta la modifica del tipo di cellule che compongono il tessuto delle pareti dell’esofago.

La metaplasia è una condizione degenerativa, ma reversibile, di un particolare insieme di cellule, a seguito dell’esposizione a sostanze nocive. Nel caso della metaplasia di Barrett, si ritiene che la causa della degenerazione del tessuto epiteliale esofageo sia da attribuirsi all’esposizione ripetuta di quest’ultimo ai succhi gastrici che risalgono lungo l’esofago.

Questa esposizione prolungata agli acidi gastrici conduce spesso a neoplasie esofagee e all’adenocarcinoma esofageo, quest’ultimo quasi sempre mortale, ragion per cui i trattamenti a radiofrequenza sono da intendersi come prioritari nel trattamento di questa patologia.

Alternative ai trattamenti a radiofrequenza sono gli interventi chirurgici o endoscopici.

Va detto che in passato, in alcuni casi, ci si limitava a tenere monitorata la situazione delle displasie esofagee (in caso di esofago di Barrett), eppure, negli ultimi anni, si sono evinti risultati estremamente interessanti riguardo ai pazienti che hanno optato per una terapia a radiofrequenza.

In un test randomizzato e controllato, sono stati svolti, su 84 partecipanti, trattamenti a radiofrequenza su pazienti affetti da gravi displasie causate da metaplasie dell’esofago di Barrett, mentre su 43 partecipanti si è effettuata una cosiddetta sham operation. Per tutti era previsto un trattamento massivo con inibitori di pompa. Si è registrato che, nel gruppo di pazienti che hanno ricevuto trattamenti a radiofrequenza, dopo controlli a 3, 6 e 12 mesi, circa l’80% ha visto scomparire le displasie leggere e gravi di cui era affetto. La stessa cosa si è verificata con solo il 26% del gruppo di controllo, non sottoposto ad ablazione via radiofrequenza.

A conclusione di questo studio, si è evinto che i casi di ricaduta sono stati del 19% nel gruppo di controllo, mentre del 5% sul gruppo di pazienti trattati.

In merito alle complicanze, solo in quattro hanno rivelato la necessità di monitorare la situazione durante la notte. Gli aspetti vantaggiosi di questo trattamento riguardano la celerità con cui viene svolto e, indubbiamente, i benefici ottenuti nel lungo termine.

La radiofrequenza ablativa non è esclusiva del trattamento dell’esofago di Barrett. Molti trattamenti non invasivi che richiedono un’ablazione dei tessuti vengono svolti tramite radiofrequenza.

Il trattamento di cellule precancerose, ad esempio, viene frequentemente operato con radiofrequenza ablativa in virtù della sua poca invasività, orientata a un recupero più veloce da parte dell’organismo.

I trattamenti a radiofrequenza sono indicati principalmente per quei pazienti ai quali non è raccomandato l’intervento chirurgico, o per ragioni di salute complessiva, o per la natura aggressiva e già cancerosa delle cellule tumorali da trattare.

Il principio di funzionamento dei trattamenti a radiofrequenza è quello della differenza di potenziale tra i due elettrodi (che possono essere a palloncino o a piastra). La tensione elettrica, che percorre lo spazio tra le due cariche di potenziale opposto, genera calore localizzato che uccide le cellule displasiche. Questo fa sì che non vi siano sezioni a carico dei tessuti, come ad esempio avviene nei trattamenti chirurgici, e che il recupero da parte del paziente sia considerevolmente più rapido.

Il ricovero ospedaliero, durante il quale viene svolto il trattamento a radiofrequenza, ha lo scopo di tenere monitorato il paziente al risveglio dall’anestesia. La composizione dell’anestetico può variare in base a diverse contingenze, ma di base ci si affida a una soluzione di un sedativo e un narcotico, occasionalmente uniti a un anestetico.

Come accennato, sono rarissimi i casi di pazienti che accusano una qualche forma di dolore al termine dell’intervento, tuttavia, l’ospedalizzazione è utile anche per gestire questi rari casi.

Non è raro imbattersi in usi non endoscopici dei trattamenti a radiofrequenza. In questo senso, l’ablazione a radiofrequenza è utile nel trattamento di stati dolorosi delle articolazioni, nel trattamento di dolori cervicali e dorsali, addirittura, data la sua poca invasività, la radiofrequenza sta trovando posto anche nei trattamenti estetico-medicali, che assicurano una durata maggiore nel tempo e minori controindicazioni rispetto ad interventi con botulino o altro.

Sfruttare il calore generato dall’elettricità ha permesso di sviluppare trattamenti a radiofrequenza che escludono, già nel breve termine, episodi dolorosi a carico di tessuti danneggiati.

La quantità di successi raggiunti da questa nuova pratica, l’ha resa preferibile in molti casi in cui la via chirurgica era preclusa o non raccomandata.

Oggi è possibile ricorrere a trattamenti a radiofrequenza e ottenere benefici quantificabili già dopo l’operazione ribaltando, in qualche modo, il paradigma che vedeva il trattamento dei disturbi gastroesofagei come esclusivo della chirurgia bariatrica.

Attualmente, la radiofrequenza offre una valida alternativa all’iter chirurgico, fermo restando le numerose implicazioni che i disturbi a carico dell’apparato digerente recano con sé e che non sempre fanno propendere per trattamenti più invasivi di uno farmacologico.

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